II DOMENICA DI PASQUA
CARI AMICI, IL MIO MODO DI MANTENERE I CONTATTI, OLTRE A QUALCHE MESSAGGIO
OGNI TANTO, E' QUESTO... CONDIVIDERE LA PAROLA DELLA DOMENICA. ATTORNO A QUESTA
PAROLA CI RITROVIAMO... SENTENDOVI VICINO, VI ABBRACCIO, MAURI
II^
domenica di Pasqua
(La debolezza, norma del nostro agire)
E’ questa,
grazie ad una intuizione di Giovanni Paolo II°, la domenica della “Divina
Misericordia”. Lego la misericordia di Dio alla debolezza che in Gesù (vangelo)
e nei discepoli (prima lettura) rivela, chiarifica, rende manifesta la presenza
di Dio. E’ una debolezza che viene consegnata alla Chiesa, perché questa
debolezza (e non altro) sia centro da cui tutto parte, sia di impulso alla
missione, sia norma di un agire che davvero possa rendere fertile il campo
dell’annuncio… senza questa povertà , senza questa debolezza alla quale siamo
chiamati ad affidarci, non ci può essere nessun frutto, non ci può essere nessun
vero raccolto.
La prima lettura e il vangelo ci dicono come sia la
debolezza a guarire, a sanare…
Gli Atti degli apostoli ci dicono che è
attraverso le mani degli apostoli (traduzione letterale) che segni e prodigi
avvengono fra il popolo… mani deboli, che una notte non hanno saputo
congiungersi per pregare con Gesù, mani deboli perché non hanno saputo tenersi
insieme nel momento del pericolo, del rischio della vita, mani deboli perché non
avuto il coraggio stare fino all’ultimo con Gesù per accogliere il suo corpo
deposto dalla croce… a queste deboli mani Dio si affida per incontrare corpi
piagati, corpi malati, corpi inquieti per la presenza di spiriti impuri… mi pare
bellissima la prima lettura: mani che si sanno deboli e per via di questa presa
di coscienza hanno imparato il valore della comunione tutti erano soliti stare
insieme… non perché l’unione fa la forza, ma per fare memoria del giorno in cui
un corpo che sarebbe stato poi piagato, percosso, umiliato, crocifisso, in
quelle mani si sarebbe consegnato nella forma debole, semplice fragile,
quotidiana del pane. Alle mani deboli di Pietro le persone affidavano le loro
debolezze, le loro malattie, le loro infermità … ma ecco che Luca va oltre le
mani… cercavano l’ombra, anche soltanto l’ombra di Pietro perché potesse
coprirli. L’ombra, ovvero il contatto fisico nella sua espressione più debole
era sufficiente. Sento che qui (perdonate la banalità ) c’è la conferma che la
debolezza ha una forza enorme… ieri, visitando malati a Cascajal ci siamo seduti
un attimo sotto il sole cocente… Dorys, che ci aveva appena accolti in casa sua,
senza dire niente si è appena spostata per farmi ombra… all’improvviso grazie al
piacere di quell’ombra sul mio corpo mi è sembrato di comprendere… come è vero
che la forza sta nella debolezza.
Di questa prima lettura mi piace anche
sottolineare la difficoltĂ che hanno gli altri ad associarsi a loro (versetto
13)… leggo in un commento la traduzione letterale che parla di unione stretta,
come quella coniugale: nessuno degli altri osava unirsi strettamente a loro e mi
domando: chi sono questi altri? Quante difficoltĂ abbiamo oggi come chiesa a
riconoscere la “forza” della debolezza e non vogliamo seriamente comprometterci
scegliendo la via della debolezza. Certo è che gli Atti degli apostoli ci
parlano di una scelta che cambia la vita, che tutto ti fa condividere delle
fragilitĂ altrui e cambia radicalmente le sorti di chi abbraccia questo
compromesso. Anche di chi lo annuncia questo impegno: Anche la folla delle cittĂ
vicine a Gerusalemme accorreva… e tutti venivano guariti… alle volte ci si
domanda del perché le nostre chiese si svuotano… forse perché non crediamo più
nella profezia della debolezza e consumiamo energie preziose nel cercare di
conquistare visibilitĂ e posizioni di prestigio .
Il brano di vangelo
che abbiamo ascoltato lo leggo sulla stessa linea… il Risorto che non fa nulla
di straordinario per convincere i discepoli della sua identitĂ ma che molto
semplicemente mostra i segni delle ferite. E queste ferite sono in strettissima
relazione con il perdono dei peccati… Gesù mostra le ferite ed invita a
perdonare. Qui capiamo che il perdono non è legato ad un potere giuridico, ma ad
un corpo ferito, trafitto, quello di Gesù… personalmente sono convinto che
negare il perdono sia tradire quel corpo, tradire quelle ferite… non perdonare
significa essere incapaci di leggere il racconto che il corpo di GesĂą ci fa: ci
parla di un amore vissuto fino alla fine e di uno Spirito che ha accompagnato
tale amore fino a rendere le ferite, le ingiurie e la morte subita, occasione di
ulteriore dono, di ulteriore amore. Se è vero che come chiesa siamo Corpo di
Cristo siamo quel corpo ferito, piagato, colpito… possiamo e dobbiamo divenire
anche noi corpo narrante, che fa del male subito un dono (E. Bianchi)… che bello
questo volto di chiesa: la nostra vocazione è quella di (prima di tutto), essere
misericordia e poi raccontare la misericordia di Dio attraverso la propria
capacitĂ di perdono e di remissione dei peccati. Sento questo tema del corpo e
della debolezza come un tema di fondamentale importanza… e qui mi sento
confortato anche da chi ha scritto il quarto vangelo, che in questa sua
conclusione originale (il cap. 21 è una aggiunta di un discepolo) parla dei
segni che Gesù ha compiuto… molti di più di quelli scritti. Ora quelli presenti
sono stati scelti dall’evangelista secondo un suo criterio di importanza e se la
memoria non mi inganna, chi mi ha insegnato Sacra Scrittura diceva che
importantissimi sono il primo e l’ultimo segno. L’ultimo segno, il vangelo mi
sembra chiarissimo in questo, non è la Resurrezione… l’ultimo segno che Gesù
mostra sono le sue ferite… e non fa come noi, che cerchiamo di guarire quando ci
facciamo male… Gesù se le tiene, perché con quelle ferite possiamo entrare in
contatto, perché quelle ferite possano guarire la mia, la nostra incredulità ,
perché di Tommaso in fondo in fondo, siamo gemelli ognuno di noi.
Buona
domenica a tutti!
maurizioprandi@obistclara.
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