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V DOMENICA DI PASQUA


NELLA COMUNIONE CHE CREA LA PAROLA DI DIO CHE CRESCE E CI FORTIFICA VI SALUTO DALLA TERRADI CUBA! BUONA DOMENICA A TUTTI, DON MAURI

V^ domenica di Pasqua

Un posto importante all’interno del vangelo di questa domenica è occupato dal tema della Gloria di Dio. E’ una parola, gloria che per quello che riguarda la mia vita spirituale e quindi la mia relazione personale con Dio, ho sempre fatto fatica a tradurre. Forse perché istintivamente la lego al successo, alla vittoria, alla potenza, all’ottenere risultati importanti, mi sono sempre domandato perché la gloria deve far parte del mondo di Dio, quel mondo che io credo fermamente sia fatto di umiltà, semplicità, solidarietà, uguaglianza… e molto fastidio ho sempre provato nell’ascoltare ritornelli del tipo: non lo facciamo per noi, ma per la maggior gloria di Dio… con l’intento di dire: non è importante quello che faccio, o quanta fatica faccio, l’importante è che Dio possa risplendere sempre più, che un numero sempre maggiore di persone possa credere in Dio, che Dio possa trionfare… così, sotto le spoglie di una falsa modestia si può sempre dire: eh eh eh…se non fosse stato per me lì Dio non ci sarebbe mai arrivato!

A tradurre un po’ meglio la parola gloria mi è venuto in aiuto un giorno don Giacomo, mio compagno di ordinazione, quando, preparando un incontro mi ha detto: e se alla parola gloria sostituissimo la parola presenza, non sarebbe molto più semplice e immediato per le persone? Il senso biblico profondo (gloria, kabod in ebraico è ciò resta perché è ciò che è pesante), è davvero quello, e in un attimo cadono tutte quelle false grandezze che in modo molto naturale costruiamo attorno al volto di Dio e di conseguenza della chiesa. Questa idea della presenza allora ci ha guidato nella condivisione della Parola della domenica all’interno delle comunità… e che bello oggi, a Copa, ascoltare Anagloria che alla domanda: che cosa vuol dire glorificare? Ha risposto: per me vuol dire esaltare il positivo, il bene, le cose belle e buone che uno ha fatto nella sua vita e attraverso le quali resta presente in mezzo a coloro che lo amano. Mi è piaciuta molto questa idea e la trovo, per me, nella sua semplicità, illuminante; sempre confondo (lo accennavo prima) il glorificare con il fare complimenti, “incensare” qualcuno… con quale obiettivo mi domando, se non quello di comprare l’altro, tirarlo dalla mia parte. Esaltare il positivo, il bene compiuto lo sento come un impegnarsi per conoscere a fondo qualcuno e per tirare fuori qualcosa che per sempre potrà rimanerti di lui. Nel caso concreto del vangelo di oggi glorificare Gesù vuol dire esaltare la sua obbedienza al progetto del Padre, la sua volontà di portare a compimento il progetto del Padre. E glorificare Dio vuol dire riconoscere la sua presenza in momenti dove istintivamente si scommetterebbe sull’assenza di Dio: il tradimento, la Croce… il vangelo di questa domenica ci parla di Giuda che è appena uscito dal cenacolo per andare a consegnare Gesù, e con le sue parole Gesù ribadisce la sua fede nel Padre e in un Dio che non cancella dal suo vocabolario la parola crisi… la crisi, scrive don Bruno Maggioni, non dice l’assenza di Dio, ma la presenza. Lego la parola gloria allora, alla parola pienezza, compimento… è per questo che possiamo dire che nella Croce già c’è la gloria di Gesù, perché è la pienezza della manifestazione di Dio e del suo amore per noi l’ora della passione è il compimento della glorificazione del Padre da parte di Gesù , il momento più alto della sua manifestazione. Gesù non ha fatto altro che manifestare il Padre obbedendogli: la Croce è il culmine di questa obbedienza. (don Bruno Maggioni)

Dopo le parole sulla gloria quella sulla ricerca (la liturgia della Parola di oggi taglia la metà versetto alla quale mi riferisco, ma credo si perda molto del significato del brano e allora mi ci soffermo un po'...) voi mi cercherete dice Gesù... la ricerca può cominciare solo dopo aver intuito che il volto di Dio che Gesù è venuto a rivelare è un volto nuovo, diverso, e fino a che non ci si converte a quel volto non sarà possibile “seguirlo”… ma mettersi in cammino si, aprirsi si, provare a cambiare si… là dove io vado voi non potete venire ora… perché solo dopo aver accettato che un avvenimento negativo (come il tradimento), doloroso (come un distacco), è passaggio ad una nuova presenza, potremo, come Pietro sentirci dire: pasci le mie pecorelle, seguimi. Credo ci sia da benedire il Signore ogni qualvolta ci scopriamo dentro ad un cammino di ricerca, ad uno spazio di dialogo, aperti agli interrogativi degli altri perché disponibili a farne nascere di nuovi dentro di noi. In questo senso, una delle cose più significative che ho vissuto negli ultimi anni è stata la partecipazione agli incontri sull’uomo e sulla città, che a Lavagna sono stati una possibilità importante di incontro tra credenti (tra essi anche il mio vescovo, il priore della comunità di Camaldoli, don Bruno Maggioni) e non credenti (scrittori mossi da domande come Erri de Luca…); scrive don Angelo Casati in un suo libro dopo essere stato invitato ad uno di questi incontri: A Lavagna, ci sono andato per amicizia, amicizia di giovani preti… quando li trovo sul cammino, così liberi, così appassionati di vangelo, con il fiuto delle cose future, così poco ingessati dall’istituzione, mi incantano e se trovo un bianco d’agenda lo riempio d’istinto per loro… e i visi delle persone, tutt’altro che spenti, erano come vele in rada, le vele aperte ad annusare il vento, e i visi, interrogavano… è una strada importante, perchè apre la porta su quel luogo che Gesù ci ricorda è precluso a chi, come i giudei rifiuta un determinato volto di Dio, a chi ha paura della diversità, a chi nemmeno è sfiorato dal desiderio di affacciarsi sui pensieri e sui cuori di chi vorrebbe che qualcuno lo aiutasse ad aprire la porta fella fede come la definiscono gli Atti degli Apostoli nella prima lettura di oggi.

Dopo le parole sulla ricerca, quelle sulla testimonianza che viene dall’amore reciproco… l’amore per permettere a chi è in cammino di riconoscere dei discepoli, dei testimoni del Risorto: Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli… come dire che la responsabilità dell’amore reciproco è il compito che Gesù ci lascia perché il mondo possa riconoscerci e possa credere. Qualcuno può pensare che in fatto di fede, l’onere della prova spetti a Dio, che è Lui che deve darsi da fare per convincere le persone… il vangelo ci dice una cosa diversa: è la comunità la prova, è la comunità il segno, è l’amore concretamente vissuto che testimonia la presenza. Se il mondo non crede allora non è colpa di Dio che non dà segni… la responsabilità può anche essere mia, delle mie comunità, al cui interno non siamo capaci di amarci come Gesù chiede perché i cuori dei lontani possano essere finalmente toccati. Accorgersi di questo amore sarà vivere la stessa reazione di Tommaso: Mio Signore e mio Dio, dove riconoscere l’amore è anche riconoscere le ferite dalle quali questo amore è nato ovvero riconoscere ancora una volta la debolezza del rimanere di Gesù nella sua Chiesa. Mi piace condividere con voi allora anche questo pezzo di strada che con la comunità di Manacas stiamo facendo il lunedì sera sulla prima lettera di Giovanni. Commentando il capitolo 3,14: siamo passati dalla morte alla vita perché amiamo i fratelli ci siamo detti che tutte le volte che viviamo l’amore risorgiamo… che l’unica possibilità di resurrezione è data dall’amore, perché non può non risorgere chi muore gridando l’amore: Padre perdonali. E’ l’amore che genera risurrezione, è l’amore che rende presente il risorto.

Buona domenica a tutti! Don maurizio
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