XI DOMENICA T.O.
LA CONVERSIONE: UNA RELAZIONE
Riprendiamo, dopo il tempo di Pasqua e le solennità più importanti del
tempo Ordinario l’ascolto continuo del vangelo di Luca con una pagina di rara
bellezza. Il tema che soggiace alla liturgia di oggi è quello della conversione,
una conversione mancata in Simone il fariseo, una conversione desiderata e
iniziata nella donna peccatrice e nel re Davide. Leggevo in un commento in
spagnolo qualcosa che mi ha colpito e mi ha aiutato a leggere in modo nuovo
(almeno mi è parso così) l’invito alla conversione il verbo ebraico ritornare
(la conversione è un ritorno a Dio, un ritorno a quella terra promessa persa per
l’infedeltà del popolo…) è legato nella sua radice, al verbo rispondere . Mi
piace molto questo, perché significa che la conversione è una risposta (la mia
risposta, la risposta personale di ognuno di noi), e se così è, la conversione
avviene all’interno di un dialogo, di una relazione; non è più quello sforzo
volontaristico, quell’impegno che spesso chiedo a me e alle persone che incontro
no: sono accompagnato da Dio nel leggere la verità di me. Questo mi pare
confermato anche dall’inizio della seconda lettura di oggi, dove s. Paolo dice
chiaramente che Dio salva l’uomo non perché è stato capace di compiere la legge,
di osservare la legge (lo sforzo volontaristico), ma attraverso la sua fede in
Gesù (la relazione). Gesù stesso dirà alla donna peccatrice: la tua fede ti ha
salvato. Dio mi parla e mi dice la mia verità , quello che sono e io gli rispondo
accettando le Sue luci sulle mie ombre perché quella che Lui mi dice è una
verità detta senza giudicare, senza schiacciare, senza disprezzare… una veritÃ
detta accogliendo. Questa mia verità non spaventa Dio, il quale, fortunatamente
sa leggere ben oltre le piccolezze, le bassezze, i difetti, le povertà . La donna
del vangelo di oggi cerca questa relazione.
E l’accoglienza da parte di Gesù
diventa in lei “speranza, apertura, futuroâ€. Credo che stia qui la grande
differenza tra l’atteggiamento di Gesù e quello di Simone il fariseo. Per
quest’ultimo la donna è il suo peccato… c’è una identificazione che nel giudizio
dato impedisce la relazione; impedisce la relazione con la donna e impedisce la
relazione con Gesù e con Dio. Impedisce la relazione con la donna perché Simone
sa tutto di lei (anche troppo!!!)… è tutto chiaro per lui, alla luce del sole…
che bisogno c’è di chiederle il perché dei suoi gesti, delle sue lacrime, del
suo coraggio nello sfidare lo sguardo impietoso del padrone di casa e degli
invitati a quel banchetto? E poi impedisce la relazione con Dio perché fissando
la donna nel suo peccato, il fariseo si allontana non solo da lei, ma anche
dall’opera che Dio, con il suo perdono e la sua misericordia compie in lei. Mi
pare bello condividere il commento che don Daniele Simonazzi fa a questo
proposito: Il giudizio è definitivo: unisce insieme la donna al peccato e separa
il fariseo dall’amore. È stabilita quindi una rigida barriera che ha un motivo
preciso: di difendere la santità e la virtù del fariseo; quella donna è in
qualche modo l’incarnazione del peccato. In questo modo il fariseo si è separato
dalla donna, ma si è separato anche dalla misericordia di Dio, perché nei
confronti di quella donna Dio pronuncia un giudizio di misericordia e di
perdono. Quindi creare il distacco da lei, significa creare un distacco, una
separazione dalla misericordia di Dio; il fariseo non ha niente a che fare con
la misericordia di Dio, perché la misericordia di Dio passa gli abissi e
raggiunge il peccatore.
Per Gesù questa donna non è il suo peccato ma è la
sua capacità di amare, di cambiare e di gettare con fiducia in Dio la sua vita;
lei stessa, pur leggendo la verità di se non si considera “un peccatoâ€, ma il
dolore che prova non la chiude, non la isola, anzi… la spinge all’incontro con
Gesù, la spinge ad interessarsi solo di lui, perché per quante persone possano
esserci in quella casa, lo sguardo di Gesù è differente. Ancora una volta
possiamo ripeterci che Dio non ci guarda per quello che siamo, ma per quello che
possiamo diventare… questo diventa evidente nella prima lettura, (ricordo un
intervento del card. Martini) dove Davide arriva a rendersi conto del suo
peccato non grazie ad un severo rimprovero da parte del profeta, ma attraverso
il racconto di una parabola che lo accende di sdegno, ira, voglia di compiere la
giustizia. Dio agisce sui sentimenti migliori di Davide, che sono la lealtà e la
necessità di difendere la giustizia: nella relazione, Dio rivolge la sua
chiamata alla conversione no al Davide peccatore, ma all’uomo giusto e leale.
Concludo condividendo con voi una bella lettura che don Giovanni
Nicolini fa di questo brano leggendo in questa donna la figura della chiesa. In
tempi difficili come questi (le recentissime richieste di perdono da parte del
papa lo testimoniano) mi sembrano puntuali e preziose Questa donna diventa
allora l’immagine splendida della Chiesa come Chiesa dei poveri, sposa del
Signore che ama questa umanità derelitta, la perdona, la salva, l’accoglie. La
figura del fariseo viene così a rappresentare l’obiezione e il rifiuto di coloro
che si ritengono giusti e non accettano l’elezione che Dio compie attraverso la
persona e l’opera del Figlio.
Luca aggiunge notizie esplicite sulla donna:
ella è notoriamente peccatrice (anche al fariseo è nota: v.39) e esprime il
dolore e il pentimento con le lacrime prima che con l’olio profumato (v.38).
L’esempio-parabola proposto da Gesù al fariseo (vv.41-43) chiarisce che
tutti siamo “debitori†come Egli ci ha insegnato anche nel Padre Nostro (Lc
11,1-4): dunque la nuova comunità messianica, la chiesa è fatta tutta di poveri
salvati. In essa si capovolgono i criteri delle sapienze mondane e il più forte
vincolo di amore nuziale con il Signore è di coloro che essendo più “feriti†più
hanno conosciuto la sua misericordia.
1 Così in particolare nel libro di
Giobbe
2 La parabola s’incentra su questa pecorella tanto amata dal povero
che l’ha acquistata non per ucciderla ma per farla vivere e condividere con lui
la mensa e il letto. I verbi mangiare, bere e dormire con la propria moglie
(11,11) sono gli stessi di Uria il quale si astiene da questa intimità sponsale
con giuramento perché é tempo di guerra. La parabola mette in luce come il ricco
abbia distrutto questo affetto del povero togliendogli l’unico bene. Davide si
accende d’ira e pronunzia la sentenza aggravando quella della Legge (cfr. Es
21,37) perché dichiara il ricco reo di morte.