XIII DOMENICA T.O.
L’obbedienza dello sguardo
Raccolgo la Liturgia di questa domenica
attorno alla parola obbedienza. Credo che possa aiutarci a fare sintesi e a
gettare anche una piccola luce sul desiderio che da domenica scorsa ci anima:
delineare la figura del discepolo.
Una duplice e non facile obbedienza
quella che ci propone la prima lettura: quella di Elia che accettando di
rinunciare al suo potere profetico manifesta una raggiunta maturità, e quella di
Eliseo, che ci mostra la via per essere profeti: mettersi al servizio… mi ha
colpito molto l’ultimo versetto della prima lettura, perché Eliseo, scelto per
un compito così importante si mantiene libero da ogni presunzione, e comincia la
sua missione entrando al servizio di Elia… l’ho messo in relazione con il fatto
che Eliseo, il giorno dell’incontro con Elia, stava lavorando con l’ultimo paio
di buoi e il fatto che la scelta sia caduta sull’ultimo degli aratori forse gli
ha fatto pensare che quello, l’ultimo, doveva continuare ad essere il suo posto.
Bella questa prima lettura, che ci racconta di come la vita, nella sua
normalità, può ricevere uno scrollone e cambiare di direzione. Eliseo, figlio di
un uomo benestante (ha un campo molto grande, in quanto sono necessarie dodici
paia di buoi ciascuna guidata da un contadino), non appena riceve la chiamata,
abbandona la vita “normale”. E’ stato bello, (mi piace restituirvi la semplicità
di alcune condivisioni di spirito con le persone che qui a Cuba mi sono
affidate), con i membri della comunità di Copa, provare a dire insieme che cosa
significasse per noi quel mantello lanciato da Elia sulle spalle di Eliseo:
fiducia in un altro, protezione, dono, rinuncia a quello che si possiede per
darlo ad altri, generosità, cambio di vita… cambio di vita che Eliseo sottolinea
con alcuni gesti: l’uccidere due buoi per fare festa con la gente (la gioia, la
felicità di chi ha trovato e scelto la strada più bella che potesse immaginare
per sé: una inaspettata benedizione questa, se si considera che nel mondo
biblico l’unzione di un profeta era un privilegio esclusivo riservato a re e
sacerdoti) e il bruciare l’aratro, ovvero il simbolo della sua vita precedente,
del suo lavoro, di ciò che possedeva, di ciò che gli permetteva di guadagnarsi
da vivere. Certo è che Eliseo percepisce di non appartenersi più, ma di
appartenere ad un Altro… le conseguenze di questa appartenenza si possono
apprendere solo nel servizio umile e concreto al quale Eliseo decide di
dedicarsi. Più di una luce direi, sulla figura del discepolo in questa prima
lettura…
La seconda lettura è un invito forte ad obbedire alla libertà.
Prima però, dice san Paolo, è necessario capire cosa sia la libertà, perché ci
si può anche confondere. Il rischio è sempre il solito parlando della libertà:
essere liberi è fare quello che si vuole… per questo leggiamo oggi un monito
importante nella seconda lettura attenzione a non prendere la libertà come un
pretesto per soddisfare il proprio egoismo. Contro l’egoismo, contro il centrare
su di sé la propria vita anche qui l’invito al servizio: fatevi servitori gli
uni degli altri per amore… decentrarsi. Che bello allora riscoprire il servizio
allo stesso tempo come sbocco della libertà e scuola per apprendere la libertà e
leggere la libertà di Eliseo e la nostra libertà come un porsi al servizio. Ecco
una delle belle e grandi novità della Bibbia: essere liberi è mettersi a
disposizione, offrire la vita, essere disponibili a “lasciarci disturbare” da
Dio e dai fratelli.
L’obbedienza alla quale ci invita il vangelo mi
piace definirla così: l’obbedienza dello sguardo. Perché di sguardi ci parla il
vangelo: quello di Gesù, fermo, deciso, rivolto in avanti, al futuro, desideroso
di scoprire e compiere la volontà del Padre e alcuni sguardi, (che raccolgo in
quello dei discepoli), che, rivolti al passato, rischiano di far commettere
errori grossolani e rovinare il lavoro e la fatica di chi, seminando, ha avuto
il coraggio di guardare in avanti. Faccio un piccolo passo indietro, alla
seconda lettura, che bene ci introduce al brano di vangelo perchè scrivendo ai
Galati, Paolo scrive a persone che hanno ceduto alla tentazione di “guardare
indietro”, tornando all’idea che per salvare la propria vita erano necessarie la
Legge e la circoncisione, ponendo quindi ad un lato l’amore gratuito di Dio .
Dicevo che sento rivolto al passato lo sguardo dei discepoli… vogliono
dimostrare, poverini, di essere più forti dei samaritani, sanno che nel passato
Elia (usando il potere di Dio per difendere la propria vita) ha bruciato dei
nemici e si pongono su quella linea. Hanno messo mano all’aratro, però stanno
guardando al passato, ad un dio “vecchio”, perché Gesù non è così, non si
difende e non si difenderà nemmeno nel momento della sua passione… guardare in
avanti significa assumere uno stile nuovo ed imparare questo atteggiamento
sorprendente di Gesù. Credo anche che i discepoli ci rivelano un uomo vecchio
(però ancora ben presente nelle nostre società), che di fronte al rifiuto torna
improvvisamente bambino e capricciosamente vuole imporre la sua idea, il suo
modo di vedere le cose, vuole dimostrare… questo fa nascere in me una semplice
domanda: di fronte al rifiuto, come mi pongo? La chiesa, di fronte al rifiuto,
come si pone? Il vangelo ci indica una strada: non deve nascere nessun
risentimento di fronte al rifiuto degli uomini, ma può nascere unicamente la
sofferenza di fronte al no che gli uomini possono opporre alla salvezza (don D.
Simonazzi). Ecco che un’altra luce si accende per illuminare il volto del
discepolo, che si manifesta come colui che impara ad andare incontro alla gente
con lo stesso stile di Gesù: quello della misericordia, del perdono, dell’amore.
Possa essere questa la nostra scelta personale, la nostra scelta di chiesa
1
Mi riferisco qui ad una intuizione di don G. Dossetti
2 Nell’Antico Israele,
il gesto di gettare il mantello sulle spalle di un altro, era equivalente alla
presa di possesso e la relativa acquisizione di un diritto. Qui è una
investitura per il ministero profetico. (Biblia de estudio)
3 Don G.
Dossetti commenta così questo brano di s. Paolo: Dal testo ai Galati, mi sembra
importante cogliere nei versetti precedenti (v. 11-12) la parola che non si può
tornare indietro - se si torna indietro si distrugge lo scandalo della Croce !
La croce non può non essere scandalosa: la croce è il perdere la faccia, è
scandalo. È per questo che Gesù «indurì la sua faccia»: è un atteggiamento
interiore che si traduce anche all’esterno perchè la croce gli appare per quello
che è: di fronte a questo scandalo Gesù indurisce la sua faccia.
4 Allora
gli mandò (il re…) un comandante con i suoi cinquanta uomini. Questi andò da
lui, ch era seduto sulla cima del monte e gli disse: <uomo di Dio, il re ti
ordina di scendere!> Elia rispose al capo dei cinquanta uomini: < Se sono
uomo di Dio scenda un fuoco dal cielo e divori te e i tuoi cinquanta.> Scese
un fuoco dal cielo e divorò quello con i suoi cinquanta. (lo stesso accadde con
un secondo comandante inviato dal re…)