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XVI DOMENICA T.O.


CARI AMICI, CON UN PO' DI ANTICIPO STAVOLTA INVIO IL PENSIERO DOMENICALE... CI VEDIAMO PRESTO, IL 20 LUGLIO POMERIGGIO ARRIVO A GENOVA... LA PRIMA DOMENICA DI AGOSTO IN CATTEDRALE CI SARA' LA GIORNATA PER CUBA E CELEBRERO' ALCUNE MESSE...POTREBBE ESSERE UN'OCCASIONE PER SALUTARCI... UN ABBRACCIONE! DON MAURI

LA PERFEZIONE? UNA COMUNIONE...

In questa sedicesima domenica, attraverso le letture e il vangelo ascoltati, la chiesa ci dice, rispetto al tema che ci accompagna da oltre un mese, che il discepolo è colui che accoglie Dio nella propria vita. Lo si accoglie come Dio, con la consapevolezza cioè che la vita non è più quella di prima, che cambiare è una conseguenza “logicaâ€, perché qualcosa di nuovo ci spinge, qualcosa di nuovo informa la nostra vita… dopo l’incontro con Dio i nostri criteri non sono più gli stessi di prima.

La prima lettura ci parla dell’accoglienza dello straniero, e il fatto che la tradizione della chiesa abbia interpretato questo incontro di Abramo come l’incontro con il Dio-Trinità, mi fa dire che nell’accoglienza dello straniero è importante cogliere questa opportunità: accogliere Dio. Penso anche al bellissimo incontro (vissuto per me a tantissimi chilometri di distanza) che E. Bianchi ha tenuto con le parrocchie di S. Margherita Ligure lo scorso inverno. Mi permetto di riportare in nota alcuni passaggi secondo me fondamentali e che ci possono aiutare a capire come sia necessario riflettere (come credenti in Dio) sull’iniquità di leggi (lo confesso, forse non sono aggiornato perché da così distante sempre è un problema) che possono obbligare ad esempio un medico a denunciare uno straniero bisognoso di cure ma presente nel nostro paese senza i necessari permessi .
Abramo oggi ci dice l’importanza dell’apertura, dell’ospitalità, della generosità non solo nei riguardi “dei suoiâ€, ma nche nei riguardi degli stranieri. Si, perché l’essere ospitali con il prossimo, dice disponibilità e apertura a Dio che chiede di essere accolto; dopo il servizio e l’accoglienza, dopo il darsi da fare ecco l’ascolto, il rimanere in piedi davanti ai tre: il suo silenzio è figura della fede, che ascolta, che attende, e si abbandona fiduciosa alla Parola di Dio (d. Daniele Simonazzi). Alcune sottolineature mi paiono imporanti:
- Nella versione greca non troviamo il verbo apparire. Quindi questa non è una apparizione come quelle che intendiamo noi un po’ influenzati, forse, dal senso del grandioso e del meraviglioso… Dio si fece vedere è la traduzione letterale, e mi sembra più forte, più bella, perché mi aiuta a comprendere che quello di Dio è un continuo venire, scendere nella vita dell’uomo. E’ un Dio che non si stanca di prendere l’iniziativa.
- Dio si lascia accogliere da Abramo (dagli uomini)…quasi non desiderasse altro.
- Dio si fa vedere nell’ora più calda del giorno, quella in cui, mi viene da dire, ci si riposa, non si fa niente. Abramo allora ci dice una prontezza, un desiderio, una agilità che vincono anche l’età ormai avanzata.

La seconda lettura ci dice che il discepolo annuncia Gesù Cristo… è una precisazione importante, un richiamo che sento necessario, perché la tentazione a mettere in evidenza la propria immagine è sempre alle porte. Il discepolo annunzia, cioè consegna. Non è un racconto di fatti, non è il riassunto di un libro, è consegna di quello che per noi è un tesoro e questo è un impegno serio, che richiede tutte le forze ed energie a nostra disposizione. Il versetto 28, nella sua traduzione letterale (che traggo da appunti di lectio divina di don Giovanni Nicolini) ci dà una idea di questo impegno… ammonendo ogni uomo e istruendo ogni uomo in ogni sapienza per presentare ogni uomo perfetto in Cristo… questo ripetere tante volte la parola ogni, ci dice la cura, l’impegno, e lo scopo delicato e profondo dell’opera di evangelizzazione (don G. Nicolini). E’ un richiamo, (per me anzitutto che spesso e volentieri sono approssimativo) alla cura scrupolosa che come discepoli dobbiamo avere per consegnare ogni contenuto del messaggio cristiano che non può escludere nessuno (per tre volte si ripete ogni uomo!!!).
In questa seconda lettura mi pare importante anche una riflessione sull’essere perfetti, perché l’idea di perfezione che abbiamo noi, anche nella chiesa a volte, forse è un pochino diversa da quella del Nuovo Testamento. Istintivamente alla idea di perfezione io lego l’assenza di difetti, ma non credo che l’idea cristiana di perfezione sia questa… mi faccio aiutare ancora dalle parole di don G. Nicolini che un giorno, nella sua lectio ci ha trasmesso questa intuizione preziosissima: perfetto va pensato in direzione di Gesù Cristo e il suo significato si avvicina al termine stesso di cristiano. La nostra perfezione quindi coincide con la nostra piena comunione con Lui. Comunione che, lo sappiamo bene, prescinde dai nostri difetti, dalle nostre debolezze, dai nostri peccati che, assunti, sono il veicolo per una relazione vera e sincera con Gesù, il quale è venuto non per “celebrare le nostre perfezioniâ€, ma per visitare le nostre debolezze.

Anche il brano di Vangelo ci aiuta ad arricchire il nostro cammino sul discepolato…dicendoci il primato dell’ascolto. Gesù rovescia le cose rispetto alla prima lettura, (dove Abramo prima serve e poi si ferma ad ascoltare) e pare affermare il primato dell’ascolto sul servizio… o forse quello di Abramo è un fare non agitato, non preoccupato che tutto vada bene perché già risposta ad un ascolto vero, un cambio di vita, un mettersi in cammino… un fare che riconosce la visita di Dio mio Signore… dice Abramo. Un giorno, ascoltando don Daniele Simonazzi mi rimasero impresse queste sue parole: ascoltare è sempre servire, perché ascoltare è un mettersi ai piedi. L’ascolto e il servizio di Maria, l’ascolto e il servizio della donna peccatrice, l’ascolto e il servizio di Gesù che si mette ai piedi dei discepoli… penso allora al mio essere qua, in mezzo a tanta gente che ha bisogno… ha bisogno di cose e ha bisogno di parole… e non posso dire di servirli perché non so se sono capace di mettermi ai loro piedi. A Marta Gesù non dice: ‘smettila di servire’. piuttosto dice: ‘vivi il servizio come vivi lo stare ai miei piedi’. C’è un servizio che non è il mettersi ai piedi; c’è un servizio che domina, un servizio per il quale si avanzano delle pretese. Ma qui siamo fuori dell’ottica del vangelo che è sempre quella della gratuità; non è certamente questo il servizio che ci è chiesto. Il servizio che ci è chiesto è il servizio vissuto come ascolto. Don Daniele ci raccomandava in quell’incontro: tu fai tante cose: bene. Allora vivile ai piedi, vivile ascoltando. Sappi cogliere che di tutto ciò che fai, che va fatto, ciò che va tenuto è la possibilità che questo servizio ti dà di ascoltare. Si può essere uomini e donne di potere nella misura in cui si è una chiesa che pretende per il servizio che svolge. Questa si chiama reciprocità, questo non è l’atteggiamento di Gesù, non è l’atteggiamento che ci propone il vangelo. Che possiamo apprendere come chiesa, questo stare ai piedi dei nostri fratelli e sorelle… i piedi sono la loro parte migliore… ce lo insegna un’amica di Gesù di nome Maria.

1 Chi cerca di cogliere nella Bibbia un messaggio sullo straniero e sui rapporti da tessere con lui, fa una prima scoperta che può destare un certo stupore: chi è lo straniero nella Bibbia? La risposta è: il primo straniero è il popolo di Dio, è Israele. Addirittura Dio ha richiesto agli Ebrei di recitare una professione di fede, recitare un credo, diremmo nel nostro linguaggio, e l’Ebreo quando andava al tempio, sta scritto nel Deuteronomio, doveva dire questa formula: Mio padre era un Arameo errante, uno straniero. Israele è stato un popolo straniero e lo stesso appellativo da cui deriva il termine italiano “ebreoâ€, che nella lingua ebraica si dice “ibriâ€, ebbene questo termine indica una persona sconosciuta che viene da un’altra terra. Quindi addirittura potremmo dire che chi diceva “ebreo†nell’antichità diceva “stranieroâ€â€¦. vi leggo alcuni versetti, ma li potrete moltiplicare per dieci, perché li ritrovate paralleli in altri testi: Tu amerai lo straniero come te stesso. Non solo il prossimo che ti è vicino, il grande comandamento che tutti conoscete: Amerai Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima, tutte le tue forze e il prossimo tuo come te stesso, ma in Levitico 19,34: Amerai lo straniero come te stesso: questo è un comando di Dio. Esodo 23,9: Non opprimerai lo straniero, tu infatti sei stato straniero in Egitto, Deuteronomio 10,18: Dio ama lo straniero o all’interno della Legge si registrano numerose altre ammonizioni sull’argomento, ma tutte riconducibili a queste tre, legate tra l’altro sempre ad una identica motivazione: perché anche voi siete stati stranieri in terra d’Egitto. I credenti in Dio devono amare lo straniero e se vogliono essere fedeli alla loro vocazione non possono assumere nei confronti degli stranieri atteggiamenti di sfruttamento e oppressione. Lo sappiamo, erano molti gli stranieri che si recavano nella terra di Israele per trovarvi pane e lavoro, in tempi di carestia, e, secondo la cultura dell’epoca, gli stranieri erano ritenuti senza dignità, alla stregua degli schiavi, adibiti a lavorare per i residenti, ebbene, a fronte di ciò, Dio chiede al suo popolo non solo di accogliere lo straniero, ma di rispettarlo nella sua dignità umana, chiede di amarlo, e promette addirittura: se lo straniero griderà verso di me, io ascolterò il suo lamento e mi metterò contro di voi, cioè Dio si fa vendicatore dello straniero, visto che Dio supponeva che se lo straniero è oppresso, significa che anche le leggi dello stato lo lasciano opprimere, e in quel caso Dio piglia lui la responsabilità di punire chi opprime lo straniero. Tutto l’insegnamento è contraddistinto da un’attenzione particolare ai senza-dignità: i poveri, le vedove, gli orfani, gli stranieri e come clausola dell’alleanza con Dio, come condizione per avere le benedizioni da Dio, Dio richiede una liturgia in cui, attenzione ve la leggo, è la liturgia di Deuteronomio 27,19: I sacerdoti grideranno: maledetti quelli che ledono i diritti dello straniero, dell’orfano e della vedova e tutto il popolo rispose: Amen, è così. Chi lede il diritto degli immigrati si pone fuori dall’alleanza, fuori dal rapporto con Dio