XXVI DOMENICA T.O.
Il discepolato: relazioni
che sappiano di paradiso
Proseguendo nel nostro
cammino sul discepolato, la Parola di Dio che abbiamo ascoltato ci ricorda
l’importanza del vedere, dell’accorgersi, dello spostare uno sguardo che troppe
volte è centrato su se stessi (prima lettura e vangelo) e ci ricorda anche che
da Dio tutto riceviamo, anche la vita eterna perchè per quanto possiamo lottare
e impegnarci, questa rimane un suo dono (seconda lettura)... Durante la
settimana, nelle comunià, abbiamo anche fatto un piccolo percorso, celebrando
l’Eucaristia, proprio in questa direzione, sottolineando alcuni verbi, così
“normali”, che corriamo il rischio di dimenticarne l’importanza. Il verbo vedere
e parlare (per quello che riguarda il mondo di Dio)[1]
e i verbi ascoltare e vedere (per quello che riguarda il mondo dell’uomo)[2].
Che cosa cerchiamo,
quali sono i nostri sogni, desideri? Ci domandavamo domenica scorsa. Oggi prima
lettura e vangelo ci dicono che chi cerca la propria sazietà non può vedere e
non può preoccuparsi dei propri fratelli bisognosi. Avere questa capacità,
quella di preoccuparsi degli altri, dipende da che cosa occupa prima, riempie
prima il nostro cuore... se il mio cuore è pre-occupato da quello che possiedo,
se il mio cuore è pre-occupato dalla importanza della mia immagine, ecco che
spazio per gli altri non ce n’è... non
c’è nemmeno spazio per Dio. Parole forti, quelle che abbiamo ascoltato contro
chi confida in sè e continua a vivere una vita spensierata e lussuosa... stare
bene e stare sicuri, in sè non è un male, anzi... ma le persone a cui il profeta
dirige le sue parole cercano un bene e una sicurezza che siano per se stessi e
non per tutti. Ci troviamo di fronte a persone che operano esattamente nella
direzione contraria a quella di Dio, che non si dà pace fino a che anche uno
solo dei suoi figli non ha pace. Mi impressiona la insensibilità
dei ricchi della prima lettura e del ricco del vangelo. La prima lettura ci dice
anche qualcosa di più sulla radice di questa insensibilità: nasce dalla
religione. Guai agli spensierati di
Sion e a quelli che si considerano sicuri sulla montagna di
Samaria... il profeta si riferisce alla disputa circa la maggiore
importanza tra il monte Sion (in Gerusalemme) e il monte Garizim (qualcosa di
questo lo abbiamo imparato pregando anche sul testo dell’incontro tra Gesù e la
donna di Samaria). Questi due monti si disputano, in un modo quasi magico, una
promessa sicura di salvezza: credo in Dio che lì si
rivela e allora sono tranquillo, quindi posso darmi spensieratamente alla
gioia. E’ chiara allora anche la condanna di un certo modo di
credere... che sia un luogo o che sia un dio, tutto diventa una scusa per
coprire le pigrizie[3],
i disordini, le ingiustizie, le offese ai poveri. Ecco che il profeta dicendoci
che tutto questo un giorno finirà ci invita ad aprire lo sguardo, a guardare al
futuro per costruirlo questo futuro, e non stare inchiodati nel nostro presente.
In suo bel commento a queste pagine, don Giovanni Nicolini scrive: non sembra che questi
ricchi di Israele abbiano una qualche coscienza e volontà di male; ne sono
semplicemente immersi; per questo non mi sembra impropria l’espressione
“spensierati di Sion” del v. 1. La loro condizione di ricchezza non è
evidentemente considerata un’ingiustizia, ed è diventata la loro stessa fede,
come denuncia ancora al v. 1 dove l’italiano rende con: “si considerano sicuri”
il verbo che in ebraico dice il confidare e l’affidarsi, cioè l’atteggiamento
forte del credente, qui stravolto dall’idolo della sua stessa
ricchezza... E’ quello che dicevamo domenica scorsa: si arriva ad un
punto in cui la fiducia, l’abbandono, lo stare sicuri non è in Dio, ma nel dio
denaro.
Legato a questa prima
lettura è il passaggio del vangelo di oggi. L’atteggiamento del ricco della
parabola raggiunge un unico obiettivo: scavare un abisso così profondo che
nemmeno Dio può attraversarlo... sono stato contento oggi, durante la
condivisione della parola, della risposta che le persone hanno dato alla
domanda: ma questo abisso chi lo
ha costruito? Nessuno mi ha detto Dio, tuti hanno risposto che è
stato il ricco a costruirlo con le sue mani. E’ proprio vero, non lo scava Dio
questo abisso... lo scava il ricco, con le sue scelte, con le sue decisioni, con
il suo egoismo, con la sua cecità. Un abisso scavato con la sua libertà di
desiderare un vivere traquillo, senza lasciarsi infastidire dalla povertà di
Lazzaro. E’ per questo che Dio non ci può fare niente, perchè, ripeto è un
abisso scavato liberamente e responsabilmente dal ricco. Tre anni fa, ad un
campo scuola con i ragazzi delle medie, don Matteo Benetti ci ha detto una cosa
bellissima commentando questa parabola e commentando l’abisso: Questo abisso è la vera
definizione de “l’inferno”: la distanza che creiamo tra noi e i nostri fratelli.
Quando il ricco chiede che Lazzaro possa raggiungerlo con una goccia d’acqua,
Abramo gli ricorda che per tutta la vita lo aveva avuto a fianco, sulla soglia
di casa sua, ma non ne ha approfittato, anzi ha creato un abisso. Ogni giorno
della nostra vita, allora, è l’occasione che ci è offerta per creare relazioni
nelle quali chiamarci reciprocamente per nome e così generarci continuamente
alla vita. Questo è “il paradiso” ed è a portata di mano, solo che spesso non ce
ne accorgiamo.
La seconda lettura che
abbiamo ascoltato ci riporta al tema che domenica scorsa ci ha accompagnato: i
nostri desideri, i nostri sogni. San Paolo ci dice quanto sia importante nella
vita a vere delle mete, perchè vivere senza obiettivi non è possibile; san Paolo
ci dice anche che questi obiettivi non
li raggiungiamo da soli, infatti non dice devi esser giusto,
fedele, paziente, mite... ma dice:tendi alla giustizia, alla
pietà, alla mitezza, alla fede, alla carità, alla pazienza... mi
piace molto questo, perchè è un richiamo alla nostra fragilità e debolezza...
non ci è chiesto di essere dei super eroi, chi è chiesto di “tendere”, cioè
dirigere la nosta vita lì, inclinarla lì, cercando di raggiungere la vita
eterna... vita eterna che è dono di Dio perchè è Lui, dice s. Paolo, che dà vita a tutte le
cose e prendendoci per mano fa con noi quel pezzo di strada che da
soli non saremo mai capaci di fare.
[1] Il giorno di S.
Matteo ad esempio abbiamo detto che Dio quando crea parla e vede che la cosa
creata è buona... così Gesù, con Matteo, che vede in lui (nonostante la sua
condizione di pubblicano e di peccatore), la bontà di quello che il Padre ha
fatto e poi parla, chiamandolo ad una vita nuova... una chiamata che è una nuova
creazione per chi la riceve.
[2] Questi verbi
invece il giovedì, in ascolto della domanda che Erode si fa dopo che ha sentito
parlare di Gesù e aveva la “curiosità” (secondo la traduzione spagnola) di vederlo: chi è dunque
costui... lì sta il nostro cammino, (che non è stato quello di
Erode): l’ascolto, per conoscere e metterci in marcia con Gesù e il vedere la
meta, Gerusalemme, la croce, la bellezza , in Gesù, di una vita donata
consegnata.
[3] Ho raccontato
che un giorno un mio amico, durante un incontro ha detto: Io non sono come i
pagani, io credo in Dio e quindi non posso affannarmi per cercare un lavoro. So
che Dio mi invierà in lavoro. Ancora oggi questo mio amico è
disoccupato.