XXVIII DOMENICA T.O.
L’importante è la...
relazione con Gesù
Continua il tema che
domenica scorsa abbiamo cominciato a sviluppare, ossia il tema della fede, che
inserito nel cammino pù ampio circa il nostro essere discepoli ci porta a dire
che il discepolo “è un piccolo[1]â€
(domenica scorsa) e in quanto piccolo “sa anche ringraziare, impara a
ringraziare†(oggi). Il generale (straniero!!!) Naaman ad esempio ha imparato a
ringraziare, perchè appare palese la sua difficoltà a ringraziare, forse perchè
ringraziare significa riconoscere di essere in debito con qualcuno... nella
comunità di Copa, a questo proposito, le persone nella loro semplicità hanno
detto una cosa di importanza fondamentale (almeno per me): eh si! È molto più
facile fare dei regali, pagare qualcosa... così ti senti a posto e ti pare di
non dovere niente a nessuno. Il percorso che il profeta Eliseo fa
fare a Naaman mi pare molto bello: lo guida al primato di Dio e alla giusta
relazione con Lui... come dire: hai riconosciuto l’opera
di Dio nella tua vita ora devi anche sapere che Dio non lo puoi comprare con dei
regali... è Eliseo che ha
detto al generale tutto quello che doveva fare per guarire, però scompare per
lasciare spazio all’autore della guarigione: Dio! Ecco che, superando le sue
difficoltà a riconoscersi debitore, (difficile per qualsiasi persona, di più
credo per chi è abituato ad occupare posti di potere) Naaman chiede un po’ terra
per costruire un altare e celebrare, su quello, la memoria della salvezza
ricevuta in dono da Dio. La salvezza,
(scrive E. Bianchi) è veramente tale
soltanto se la si celebra. Ad un primo impatto tutto questo può
sembrare pagano, o può sembrare superstizione...ma poi no, perchè la terra è
sacra, è il luogo della fatica e del
lavoro dell’uomo ed è quella terra che Dio ha scelto come strumento di salvezza:
quella terra ha accolto l’Incarnazione, quella terra Gesù ha percorso con i suoi
discepoli, su quella terra ha deciso di morire. La terra allora diventa un
simbolo della umanità di Gesù, del suo condividere... e come l’umanità di Gesù è
il luogo di salvezza della nostra umanità , così la terra diventa un simbolo ed
un riferimento molto forte per noi. Un’altra cosa che trovo importantissima è
questa: l’atto di fede di Naaman il Siro è anche un annuncio: egli torna da
Eliseo con
tutto il suo seguito, con tutta la carovana... ed è in presenza
di molte persone che egli, compiendo un cammino, aderisce al Dio d’Israele; il
suo è un dire io credo
pubblicamente, non in forma privata, è proclamare di fronte ad altri che
qualcosa è cambiato nella propria vita. Ecco che il cammino di Naaman ci
conferma in quanto dicevamo la settimana scorsa sulla fede dei piccoli: è
necessario scendere, spogliarsi della grandezza, della potenza, del ruolo per
riscoprirci bambini (la pelle ritornò ad
essere quella di un bambino) pronti a ricominciare un cammino
nuovo.
Quanti spunti ci dà anche
la seconda lettura... cominciando dal primo versetto: ricordati di Gesù
Cristo, risorto dai morti... bello il cambio nei nuovi testi, (prima
leggevamo: Ricordati che Gesù
Cristo è risorto dai morti e francamente mi sembrava quasi un
ammonimento, una minaccia, nella migliore delle ipotesi una forzatura, quasi un
obbligare alla fede...) cambio che ci aiuta a centrare in Gesù la nostra vita, a
fare della nostra relazione con lui un memoriale (ricordati...). Che bello
questo: la nostra vita è chiamata a diventare celebrazione, memoriale della
Pasqua di Gesù, di una vita offerta, donata. E questa vita diventa così un
vangelo (il mio
vangelo dice s. Paolo)... il vangelo scritto da ognuno di noi con la
propria piccola, semplice, povera vita... che cerca Dio come può, con i mezzi
che ha.
S. Paolo ci dice anche una
parola importante circa la nostra fede: può anche venire a mancare, ma certo non
viene meno la fedeltà di Gesù; riceviamo queste parole come la proclamazione
della misericordia di Dio, e le leggiamo, così come abbiamo fatto nelle comunitÃ
qui a Cuba, alla luce della preghiera che il padre del ragazzo indemoniato ha
rivolto a Gesù: Credo Signore, ma tu
aiutami nella mia incredulità ... credo che questo aiuto di Dio sia
proprio la sua presenza fedele che va al di là delle nostre mancanze, una
presenza che arriva alla comunione pù alta, quella del non lasciarci mai soli,
nemmeno nel momento della morte che sarà con Lui, insieme a Lui... mi sembra
bello, e penso a me, alle mie paure, alle mie domande: nel momento della prova,
della passione, quando abiamo bisogno di qualcuno al nostro fianco, Gesù non ci
lascia soli.
Due cose belle per me nel
vangelo tra le tante che sicuramente sono nate nei cuori di chi lo ha ascoltato
oggi: la prima è la domanda che fa Gesù: E gli altri nove dove
sono? Che io ricevo non come un rimpovero, ma come un mistero al
quale nemmeno Gesù vuol dare risposta... intanto ancora una volta la prima
preoccupazione di Gesù è per quelli che si allontanano, che si perdono, che
mancano... e poi il rispetto di Gesù che si fa una domanda e non dà nessuna
risposta lasciando così nel
mistero ciò che concerne la fede e la salvezza (don Giovanni
Nicolini). La seconda è l’invito che secondo me il vangelo ci fa ad aprire gli
occhi, ad riconoscere come ricevuto tutto ciò che la bontà di Dio ci offre. Un
punto importante, in questo senso, è quel: vedendosi
guarito... il lebbroso vede il dono che ha ricevuto, capisce che è
stato raggiunto, che la guarigione gli è venuta dal di fuori e allora ritorna.
Gli si sono aperti gli occhi e comprende chi è Gesù. Si rende conto che c’è
una cosa più importante della salute[2],
ed è la relazione con Gesù e l’andare con Lui a
Gerusalemme!
Buona domenica a tutti. maurizioprandi@obistclara.co.cu
[1] La piccolezza
ci ha accompagnato tutta la settimana nelle comunità ... il “piccolo Francescoâ€
lunedì e poi giovedì, quando Gesù ci ha messo di fronte la nostra condizione di
piccoli, di poveri, di gente che non ha nulla da mettere davanti ai fratelli e
alle sorelle... di mendicanti in ricerca (cercate), di
bisognosi che chiedono (chiedete), di
persone a volte sole che hanno il coraggio (o come dice il vangelo in greco la
sfrontatezza) di bussare alla porta dei fratelli e delle
sorelle.