XXX DOMENICA T.O.
La Liturgia della Parola
di questa domenica ci aiuta, con una nuova riflessione sulla preghiera a
scendere in profonditĂ in noi per capire la veritĂ , la sinceritĂ dei gesti che
poniamo e delle scelte che facciamo. A questo mi richiamano il vangelo, con la
nota parabola del fariseo e del pubblicano e la prima lettura… entrambi mettono
in luce il nesso, il rapporto profondo che c’è tra preghiera e autenticità .
La prima lettura credo ci
dica una veritĂ importante mettendo in evidenza quali sono i tratti costitutivi
della autencità : per essere veri è necessario essere umili e poveri; il brano
di vangelo, percorrendo lo stesso sentiero ci invita a riconoscere da che cosa
siamo abitati, se da un “io smisurato”, delirante, o dalla consapevolezza della
nostra fragilitĂ , debolezza; se da un desiderio di sentirci comunque
giustificati grazie ai nostri “piccoli adempimenti”, o da un anelito di
conversione, cambiamento, per poter camminare e accogliere la misericordia di
quel Dio che sempre avrĂ pietĂ di noi,
in ogni momento della nostra vita.
Sento il vangelo di oggi di una importanza
fondamentale, per me e per le mie comunitĂ . Parto da una intuizione di E.
Bianchi che riflette sulla vicinanza-lontananza del fariseo e del pubblicano è la preghiera dovrebbe unire, ma questi due, separati fisicamente credo da
pochi metri, vivono una distanza abissale. La domanda che GesĂą ci pone oggi
raccontando questa parabola è: cosa significa pregare insieme? Semplicemente
stare fianco a fianco, l’uno accanto all’altro in uno stesso luogo, in una
stessa liturgia? E’ possibile pregare
accanto ed essere separati dal confronto, dal paragone, dal disprezzo…
l’autenticità della preghiera, dell’offerta fatta al Signore nel culto, passa
attraverso la qualitĂ buona delle relazioni con i fratelli che pregano con me e
con me formano il corpo di Cristo (E. Bianchi). E’ proprio quanto don
Michele (il mio nuovo compagno di cammino nella missione di Cuba), diceva oggi
durante un breve momento di condivisione quando ci siamo proposti l’obbiettivo
di andare alla idea più semplice, più essenziale della preghiera: E’ un buon rapporto con Dio ed è un buon
rapporto con i fratelli.
In questo senso, non è preghiera quella del fariseo,
perché né desidera la relazione con Dio, né rispetta i fratelli… si può dire che nemmeno conosce Dio, perché conosce soltanto se
stesso e la “bontà delle cose che è convinto di fare per Dio. Ci può aiutare la
traduzione letterale del primo versetto del vangelo ascoltato: per alcuni che in se confidano in quanto
giusti… già qui capiamo quanto è facile togliere Dio, metterlo da parte.
Dio, per quest’uomo, ha un unico ruolo: essere testimone della sua giustizia,
della sua bontĂ , delle sue virtĂą, della sua capacitĂ di compiere la legge.
Disprezzando, ringrazia! Non ha capito niente! Dalle parole che dice tra sé
(parla tra sé e quindi non è un uomo aperto, rivolto, ma profondamente chiuso e
solo) capiamo che non è lui che deve ringraziare Dio, ma è Dio che “deve
mettere un voto alto sulla sua pagella” per le tante cose belle che fa.
Disprezzando, (non sono come gli altri),
dimostra anche di non conoscere la Scrittura e in particolare la prima lettura
di oggi, che in modo chiaro ci ha detto che Dio non fa differenze, preferenze
di persone. Disprezzando rifiuta di accogliere la visita di Dio prima negli altri uomini e poi in chi sta
pregando con lui (non sono come gli altri
uomini… non sono come questo pubblicano…).
Che differenza rispetto al
pubblicano, che è capace di mettere Dio al centro e quindi possiamo dire che
veramente prega… riconosce che soltanto Dio può salvare la sua vita e si mette
nelle sue mani. Non dobbiamo dimenticare che il cammino che da tre domeniche a
questa parte abbiamo cominciato pone la fede al centro della nostra riflessione
e la preghiera è uno dei modi nei quali diciamo la qualità della nostra fede.
Ricordate la domanda con la quale si concludeva il vangelo domenica scorsa? Ma il Figlio dell’uomo, quando tornerĂ troverĂ
questa fede sulla terra? La fede dei piccoli… essere piccoli come un
granellino di senapa per poter aver fede… la fede della vedova… oggi la fede
del fariseo e la fede del pubblicano… la
fede come atto nel quale scegliamo in chi credere, se in noi stessi, come se al
mondo ci fossimo soltanto noi, o in Dio e nella sua misericordia che ci aiuta a
conoscere la nostra veritĂ , la nostra fragilitĂ , la nostra debolezza,
accettandole senza rimanerne schiacciati.
La solitudine del
fariseo, scelta e voluta, che lo porta a cancellare Dio dalla sua vita, ci
permette di accostarci ad un’altra solitudine che porta a tutt’altro risultato,
a tutt’altra meta. E’ la solitudine di Paolo, che nella seconda lettura scrive:
Nella mia prima difesa in Tribunale
nessuno mi ha assistito, tutti mi hanno abbandonato… il Signore però mi è stato vicino, mi ha dato la forza…
l’abbandono, la solitudine non ha chiuso la vita di Paolo, anzi! La sua vicenda
ci dice che è possibile, anche nelle difficoltà , (un processo), sperimentare la
presenza di Dio ed annunciare il vangelo, che proprio perché è stato occasione
di apertura nella nostra vita, apre squarci di bene e spazi di ascolto nella
vita degli altri.
Il confidare nella bontĂ
di Dio del pubblicano invece, ci aiuta ad interpretare il v.8 della seconda
lettura, quando s.Paolo scrive della corona
che il giusto giudice consegnerĂ a coloro che attendono con amore la sua
manifestazione… anche qui si parla di relazione con Dio una relazione
fondata sulla certezza dell’incontro non con un poliziotto. Non c’è paura per
la manifestazione di Dio ci dice Paolo… al termine di una vita davvero spesa,
donata… ha imparato ad attendere quel momento lui e tutti coloro i quali quella
manifestazione hanno accolto, giorno dopo giorno, vivendo semplicemente e
umilmente la vita.