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XXXIII DOMENICA T.O.

La fede come perseveranza e la perseveranza come modalità per desiderare di stare continuamente in contatto con la verità di se’ e di Dio sono al centro delle letture di oggi. Occorre perseveranza io credo, per desiderare che la verità possa emergere e soprattutto perchè questa verità sia assunta con la consapevolezza che può provocare ferite e quindi dolore, perchè se il contatto con la verità di Dio è contatto con la sua bontà e la sua misericordia, il contatto con la mia verità non è sempre “piacevoleâ€. Già il rendermi conto, per esempio, dell’importanza del perseverare perchè per come sono fatto basta pochissimo per farmi desistere, per scoraggiarmi, per farmi cambiare idea, per farmi scegliere un cammino più facile e gratificante quando si presentano difficotà e risultati non immediati, gia questo, dicevo, non mi piace molto, ma è un punto importante sul quale sono chiamato a lavorare credo. Non è facile tradurre in italiano quello che dal greco abbiamo tradotto con il termine perseveranza, perchè è un misto di pazienza, di sopportazione nel tempo... don Giovanni Nicolini scrive che è un rimanere sotto, senza ribellarsi e senza scappare e una immagine che può aiutarci allora è quella di Gesù sotto la croce, capace di stare sotto con la forza che gli viene dalla mitezza; i testi della conferenza episcopale cubana invece parlano (e mi piace molto scelta), di mantenersi saldi legando così, almeno interpreto io, la perseveranza alla fede, all’ aman, alla roccia che è Dio nella nostra vita. Questo “stare saldo†permette al cristiano di abitare il presente e la storia, di leggere gli avvenimeni e il reale come il luogo di un appuntamento che Dio ci dà, non tanto per verificare il livello della nostra fede, non tanto per valutarci, se promuoverci o bocciarci, quanto per dirci, una volta di più che nella difficoltà, nella sofferenza, nella persecuzione egli è presente e sta al nostro fianco. Le parole di Gesù nel vangelo di oggi (vi darò parola e sapienza) le leggiamo alla luce dell’esperienza che S. Paolo ci ha raccontato due settimane fa, quando, rimasto solo nel tribunale ha potuto sperimentare la presenza di Dio al suo fianco ed in una situazione di forte disagio ha potuto comunque annunciare il vangelo. Gesù nel vangelo di oggi ci dice che anche in una situazione di grande difficoltà, a volte di persecuzione, siamo chiamati ad essere testimoni dell’amore di Dio.. di fronte alla realtà possiamo avere paura e scappare oppure decidere di abitarla la realtà celebrando nel nostro oggi, nell’ordinario, la presenza di Dio. In questo senso, è sempre alto il rischio di una interpretazione apocalittica (nel senso deteriore del termine), sia della prima che del brano di vangelo... nella loro semplicità ad esempio, tutte le persone che oggi abbiamo incontrato nelle nostre comunità, hanno subito pensato alla vicinanza della fine del mondo.

 

Di cambiamento ci parla anche la seconda lettura, dov S. Paolo ci propone di passare da una vita disordinata ad una vita degna, onesta...affronta il tema del lavoro, che io sento strettamente legato alla nobiltà, alla dignità...peso a quanto risplendono quelle persone che compiono il loro dovere di operai, di padri e madri di famiglia e di figli che si fanno carico dei loro cari... e allo stesso tempo con tristezza penso alla povertà di chi approfitta di un ruolo, di un incarico e che magari pensa di essere più furbo degli altri e trae sempre un vantaggio per sè dai suoi traffici. Ma non è che sei furbo...è che sei un ladro! Mi pare un bel richiamo anche quello di s. Paolo, a viver da cristiani l’ordinario, senza rivendicare privilegi, senza farsi degli sconti, mossi dal desiderio di abitare la vita nella fedeltà all’evangelo, per poterlo annunciar in modo credibile, per incontrare qualcuno disposto ad ascoltarlo.