II DOMENICA DI AVVENTO
Portatori di
un pezzeto di cielo
La liturgia di
di oggi alimenta la nostra speranza. Possiamo raccoglierla, credo, attorno alla
parola armonia. La prima lettura profetizza un’armonia (così come
immagino sia pensata, desiderata da Dio...),s. Paolo, scrivendo ai Romani
chiede anche a noi di essere responsabili di questa armonia (è un compito,un
impegno...), perchè la sua attualizzazione dipende da noi e il vangelo,
scuotendoci, ci invita, cambiando nell’intimo di noi stessi, a realizzare
questa armonia.
Il profeta
Isaia ci parla attraverso immagini della natura riconciliata... un tronco, che
è un qualcosa di tagliato perchè morto, da frutto e germoglia... il leone
mangia la paglia e le bestie piĂą tenere e fragili vivono insieme a quelle
feroci... su questo leggevo un bel commento a cura delle Famiglie della
Visitazione che interpretava questa lettura (e a me pare bellissimo leggerla
così), come un invito, per chi sta in alto a scendere. Solo a questa condizione
è possibile l’armonia, solo a questa condizione è possibile la pace, solo a
questa condizione è possibile l’incontro. Cielo
e terra si incontrano dice lo stesso profeta Isaia in un suo passaggio, ma
perchè il cielo si abbassa... penso
allo Spirito del Signore di cui oggi abbiamo conosciuto la ricchezza dei doni
(sapienza, intelligenza, consiglio, fortezza, pietĂ , timore di Dio)... penso
anche all’Incarnazione[1] e ai brani di vangelo che ci preparano a
farne una memoria grata è dialoghi tra ciò che sta in alto e si abbassa e ciò che sta in basso e
desidera l’incontro, dialoghi tra il cielo e la terra: l’angelo e Zaccaria,
l’angelo e Maria, l’angelo e Giuseppe... penso che però non finisce tutto li..
così come ha fatto Maria con sua cugina Elisabetta, anche noi siamo chiamati a
portare un po’ del cielo che abbiamo ricevuto ai nostri fratelli e sorelle. Il
tempo di Avvento ci aiuta allora, a preparare anche questo incontro, tra
qualcosa che scende dal cielo e qualcosa che sale dal basso (perdonate il
linguaggio, un po’ semplicistico forse...)... la parola di Dio ci dà come una
regola per l’armonia: il potente si umilia (sta lì la vera “forza”, il vero
“potere”), perchè deve essere il potente a scendere. A mo’ di esempio il
profeta ci racconta di forze che si abbassano e che rinunciano a “scatenarsi”
(il lupo con l’agnello, i leopardo con il capretto...) e di piccolezze, di
debolezze che desiderano l’incontro ma.... se il grande non impara a scendere,
che disastro!!! Quante implicazioni politiche ed ecclesiali in questo...quante
discese che rimangono lì a mezz’aria e che per mancanza di coraggio non si
concretizzano in un “atterraggio” in mezzo alla umanità piegata dal dolore;
eppure non sarebbe nulla di straordinario, sarebbe solamente fedeltĂ al volto
di Dio, all’unico volto di Dio capace di far nascere, suscitare la fede: la
fede (leggevo in questi giorni), è lo stupore di trovarci di fronte a questo
Dio così piccolo, a questo Dio che discende, che si umilia. Incontrando i
giovani delle nostre due parrocchie[2] domenica scorsa, dicevamo proprio questo
e aggiungevamo che se la fede nasce in noi da questo incontro, mette radici
(tema del messaggio del papa ai giovani), altrimenti (una fede che si basa sul
meraviglioso, sul potere, o peggio ancora sul fatto che essere cristiani
“conviene”) sarebbe connotata dalla fragilità e debolezza, senza nessuna
consistenza. Per me sono sempre importanti le parole ascoltate da don Michele
Do, pochi giorni prima di morire, quando ai suoi amici che lo andavano a
salutare ripeteva che al termine della sua vita gli restavano “poche, dubitose,
chiarezze”.
La seconda
lettura, che, abbiamo sottolineato con don Michele, potrebbe benissimo essere
diretta ad ognuna delle nostre comunitĂ , ci dice che la realizzazione
dell’armonia è un compito affidato a ciascuno di noi. Quello che il testo
italiano traduce con accoglietevi, in
spagnolo suona così: Que Dios les conceda
a ustedes vivir en perfecta armonĂa unos con otros... ed è un qualcosa che
non nasce da noi... è Dio che ci concede di poter vivere così dice l’apostolo;
c’è una condizione però, che è quella di avere gli stessi sentimenti di Cristo
GesĂą per essere capaci di essere seme di unitĂ e di comunione. Accolti da GesĂą,
possiamo a nostra volta accogliere i nostri fratelli e sorelle perchè si
manifesti la gloria (ovvero la “presenza”) di Dio in mezzo a noi.
Infine il
vangelo, al quale accenno appena, che ci presenta Giovanni Battista con
quel’invito a convertirsi, a cambiare... a far si che ciò che confessiamo a
parole trovi un concreto riscontro anche nel profondo dell’animo. Mi piace
condividere con voi quello che don Giovanni Nicolini scrive a proposito della
conversione: Qual è
la vera conversione? E' la conversione dalla propria vita alla Parola di Dio, è
la conversione da se stessi a Dio. La conversione è un intreccio di dolore e di
speranza che riconsegna a Dio la nostra vita, che ci strappa da ogni
affidamento/fiducia in noi stessi o in qualcosa che noi facciamo, diciamo..., e
ci pone in attenzione/attesa/speranza nei confronti del Signore. Si potrebbe
dire: ma il cambiamento delle nostre azioni non è già la conversione? Mi sembra
di no!! Mi sembra che in fondo questo sia ancora un rimanere in se stessi e
quindi un confidare in se stessi. Il cambiamento della vita è piuttosto un
segno, o se volete "il" segno, della conversione al Signore e della
nostra fede in Lui. Tanti andavano nel deserto per ascoltare il
Battista... perchè? Perchè ha sempre detto la verità , e alle persone diceva di
non aver paura di dire la verità , perchè ciò che davvero conta di fronte a Dio
non è essere belli fuori, (come i farisei e i sadducei che si avvicinavano per
farsi battezzare), ma, pur in mezzo a mille fatiche, essere autentici cercatori
del proprio volto e del volto di Dio.